martedì 30 marzo 2010

"UN'ALTRA CAPORETTO"

Mentre il Pdl di "Menomalechesilvioc'è" perde 8,5 punti in un anno e tocca il minimo storico, la Lega lo asfalta al nord e Fini può rivendicare i successi in Lazio e Calabria con i suoi Polverini e Scopelliti, soltanto il vertice del PD poteva trasformare la débàcle berlusconiana in una Caporetto del centrosinistra (fra l'altro, scambiata per una vittoria). Bersani, cioè D'Alema e i suoi boys (almeno quelli rimasti a piede libero), ce l'han messa tutta per perdere le elezioni più facili degli ultimi anni e, alla fine, possono dirsi soddisfatti.
In Piemonte hanno candidato una signora arrogante e altezzosa, bypassando le primarie previste dallo statuto del Pd per evitare di dar lustro al più popolare Chiamparino e riuscendo nell'impresa di consegnare il Piemonte a tale Cota di Novara per solennizzare degnamente il 150° dell'Unità d'Italia. A Roma, la città del Papa, hanno subìto la candidatura dell'antipapista Bonino per mancanza di meglio ( il meglio ce l'avevano, Zingaretti, ma l'hanno nascosto alla Provincia per evitare che, alla tenera età di 45 anni, prendesse troppo piede), poi l'han pure lasciata sola per tutta la campagna elettorale. In Campania, calpestando un'altra volta lo statuto, hanno sciorinato un signore che ha più processi che capelli in testa perché comunque era "un candidato forte": infatti. In Calabria han riciclato un giovin virgulto come Agazio Loiero, che quando ha perso come tutti prevedevano si è pure detto incredulo, quando gli sarebbe bastato guardarsi allo specchio.
Non contenti, questi professionisti del fiasco, questi perditori da Oscar le hanno provate tutte per fumarsi anche la Puglia, candidando un certo Boccia che perderebbe anche contro un paracarro, ma alla fine hanno dovuto arrendersi agli elettori inferociti e concedere le primarie, vinte immancabilmente dal candidato sbagliato, cioè giusto. Hanno inseguito il mitico "centro" dell'Udc, praticamente un centrino da tavola all'uncinetto, perché "guai a perdere il voto moderato". Infatti gli elettori sono corsi a votare quanto di meno moderato si possa immaginare: oltre a Vendola, i tre partiti che parlano chiaro e si fanno capire, cioè la Lega, Cinque Stelle e Di Pietro. Altri, quasi uno su due, sono rimasti a casa o han votato bianco/nullo, curiosamente poco arrapati dai pigolii del "maggior partito dell'opposizione" e dal suo leader, quello che "vado al festival di San Remo per stare con la gente" e "in altre parole un'altra Italia".
Se, col peggiore governo della storia dell'umanità, l'astensionismo penalizza più l'opposizione che la maggioranza, un motivo ci dovrà pur essere. L'aveva già individuato Nanni Moretti nel lontano febbraio 2002, quando in piazza Navona urlò davanti al Politburo cebtrosinistro "con questi dirigenti non vinceremo mai". Sono gli stessi che sfilano in tutti i salotti televisivi, spiegando che la Lega vince perché "radicata nel territorio" (lo dicono dal 1988, mentre si radicano nelle terrazze romane o si occupano di casi urgentissimi come la morte di Pasolini) e alzando il ditino contro Grillo, che "ci ha fatto perdere" e "non l'avevano calcolato". Sono tre anni che Beppe riempie le piazze e li sfida su rifiuti zero, differenziata, no agli inceneritori e ai Tav mortiferi, energie rinnovabili, rete, acqua pubblica, liste pulite, e loro lo trattano da fascistaqualunquistagiustizialista.
Bastava annettersi qualcuna delle sue battaglie, dando un'occhiata a Obama, e lui nemmeno avrebbe presentato le liste. Bastava candidare gente seria e normale, fuori dal solito lombrosario, come a Venezia dove il professore Orsoni è riuscito addirittura a rimpicciolire Brunetta. Ma quelli niente, encefalogramma piatto. Come dice Carlo Cipolla, diversamente dal mascalzone che danneggia gli altri per favorire se stesso, lo stupido danneggia sia gli altri che se stesso.
Ecco, ci siamo capiti. Ce n'è abbastanza per accompagnarli, con le buone o con le cattive, alle loro case (di riposo). Escano con le mani alzate e si arrendano. I loro elettori, ormai eroici ai limit del martirio, gliene saranno eternamente grati.

(Marco Travaglio da "il Fatto Quotidiano" del 31/3/2010)

lunedì 22 marzo 2010

"FU ... ANONIMO"

La voce che proviene dall'altro capo del telefono è quella di mio figlio. Dopo i convenevoli mi chiede se ho individuato l'anonimo che scrive su questo blog. "Non ancora, gli rispondo, ma sono convinto che presto la sua acredine esasperata lo tradirà".
Non vado spesso in quel quartiere ai confini paesani; troppo fuori dai miei itinerari abituali.Quando capito da quelle parti, non manco però di far visita al 'vecchio' amico che costituisce l'unico motivo di richiamo in quella diramazione.
Sono da quelle parti e decido per un breve saluto. Entro nel laboratorio artigianale; l'immagine che si presenta non è nuova, anzi, sembra che il tempo si sia fermato visto che ogni cosa è rimasta pressoché immutata. Lui è alla 'pressa' a confabulare con due presumibili clienti, l'aiutante al rituale impegno, la consorte al solito, dinamico tutto fare. Qui la crisi, fortunatamente, non è percepibile. La titolare mi stimola amabilmente a visitare l'anziana di famiglia, che è, oltretutto, alla vigilia di un intervento chirurgico.
Salgo, saluto affettuosamente la simpatica interlocutrice, ci intratteniamo sul suo stato di salute; è tranquilla e fiduciosa. Prima del commiato mi esprime la sensazione della non lontana dipartita e il desiderio di avermi presente nel tragitto verso l'ultima dimora. Sorrido della sua esagerazione e la rassicuro sulla mia partecipazione se il destino, ovviamente, lo consentirà.
Ritorno nel laboratorio per adempiere allo scopo della mia presenza; non ci sono estranei e penso ad un rapido congedo. In modo improvviso la contitolare mi riversa addosso una sequela di accuse e contumelie su ciò che scrivo, sul mio ateismo (?) e sul comportamento tenuto nei confronti dell'ex sindaco. Ogni tentativo di dialogo è vanificato dalla sua aggressiva logorroicità. Solo l'arrivo di uno spedizioniere la costringe ad altro impegno, ma il mio stupore non è destinato al sopimento. Con altrettanta astiosità le subentra il consorte che esplode il proprio rancore, evidentemente a lungo represso, con una serie di incriminazioni e insinuazioni 'vomitate' anche con la rabbia e l'animosità di chi non possiede l'ombra di un dubbio; ogni sua domanda è soddisfatta dalla sua risposta. Un turbinio di parole si susseguono senza sosta.
Consapevole delle assurdità pronunciate, tento, inutilmente, di stabilire un dialogo più adeguato alla circostanza. Anche l'atavico rapporto di conoscenza non mi consente di credere a ciò che vedo e sento; alla fine comprendo che è impossibile placare tanto furore.
Piuttosto incredulo e amareggiato, lascio ognuno nelle proprie convinzioni e mi avvio per la mia strada; il silenzio che segue mi concede la sospirata pausa di riflessione. E' un lampo! Quelle accuse le ho già lette e riproposte, identiche, su questo blog.
Si, anziana amica, se il destino vorrà, sarò presente al tuo ultimo cammino; per ora ti abbraccio con affetto. Addio.

PS.: Questa è una riflessione personale e non avrebbe dovuto essere pubblicata sul blog. Ne sono consapevole e chiedo scusa ai tanti amici che mi leggono. Comunque, se ho ritenuto di rendere pubblico l'accaduto è perché attinente alle tematiche trattate in merito alla "viltà" di chi, anziché porsi nell'ottica umana di proporre un dialogo sereno, semplice, doveroso e reciprocamente utile, ha preferito ricorrere all'anonimato.

mercoledì 17 marzo 2010

"DEMOCRAZIA O DITTATURA?"

Un leader non teme il popolo, non lo fugge e a testa alta risponde agli affronti e alle voci fuori dal coro. Un dittatore rifugge il confronto, scende accerchiato da guardie del corpo e da una folta claque pronta ad applaudirlo.
Per un leader il suo popolo è la sua forza. Per un dittatore la folla è una comparsa, è lui l'unico protagonista.
Un leader improvvisa quando capita poiché nell'improvvisazione c'è spontaneità. L'apparizione di un dittatore è studiata a puntino e ciscuno recita la sua parte come stabilito: nessuna voce fuori dal coro è ammessa.
Un leader soffre con il suo popolo. Non ruba al suo popolo. Non mente al suo popolo.
Un dittatore accumula ricchezze all'estero su conti privati depredando il popolo. Mente al popolo e fa le leggi a proprio uso e consumo, e comunque utili ad una minoranza.
Un leader ascolta il popolo. Un dittatore vuole essere solo ascoltato dai sudditi.
Silvio Berlusconi non potrà mai permettersi la piazza, né un confronto pubblico perché lui è un dittatore. E come tale non scenderà in piazza per spiegare le ragioni del "pasticcio elettorale" perché prima dovrebbe spiegare al popolo le porcate del legittimo impedimento, del decreto interpretativo, del lodo Alfano e le ingiurie rivolte agli organi delle istituzioni.
Berlusconi è un dittatore, per lui il popolo non esiste, esistono i sudditi.
Nessun dittatore può permettersi di insultare i duoi sudditi e chiedere loro allo stesso tempo di applaudirlo.

domenica 14 marzo 2010

"COSE BUONE O UTOPIA?"

Le amiche Anna e Gabriella, dell'associazione territoriale di Macerata Rete Radié Resch (RRR), promossa a livello nazionale dal giornalista "vaticanista" Ettore Masina, hanno inviato a simpatizzanti e amici la seguente mail:
"Cari amici, dovendo anche questo mese la Rete di MC scrivere la circolare nazionale, dopo la bella e circostanziata lettera di Cristina sulle connivenze italo-libiche, questo mese vorremmo soffermarci SOLO sulle "cose buone" che, anche se non hanno visibilità sui media, esistono e ci permettono di alimentare la speranza di un mondo migliore.
Ed allora una pressante richiesta di segnalazioni di "cose buone" di cui siamo venuti a conoscenza, "cose buone" locali e/o mondiali, cose anche piccole, come facciamo quasi sempre nella ns. lettera locale nella rubrica così intitolata.
Ci aiutate? Se si, davvero la lettera sarà scritta da tutta la Rete di Macerata! Avete tutta la prossima settimana per farci una mail!
Grazie, aspettiamo fiduciose! Anna e Gabriella".
Ecco il mio riscontro:
"E' sempre molto difficile venire a conoscenza delle tante "buone notizie" che si menifestano nel mondo; esse sono infatti essenzialmente circoscritte nel novero dei singoli comportamenti e costituiscono, da sempre, un concreto elemento di solidarietà e, perciò, di speranza. E' certamente questa emozione che conforta e stimola l'umanità nel cammino quotidiano verso una esistenza troppo spesso difficile, affannosa, tragica, quasi sempre affidata al reciproco sostegno, ma anche alla violenza tra derelitti e alla umiliante "carità" di chi si disfa della propria sovrabbondanza.
Nell'attuale momento storico, sempre più dominato da un 'mercato' avido e senza regole, altamente nefasto nei confronti della cultura solidaristica, il pericolo di un atteggiamento progressivamente individualista è tangibile e preoccupante; il 'potere' finanziario, che fino a qualche tempo fa agiva nell'ombra, sta assumendo una visibilità progressiva e chiaramente tendente al dominio globale. Il guaio di questa escalation è che la 'follia' dei 'nuovi barbari' è dovuta alla loro assoluta cupidigia, che li rende sottomessi al danaro e quindi insensibili ad ogni valore, quello della vita compreso. Uno degli esempi più eclatanti di tale scenario è ben riscontrabile proprio in Italia, dove il 'premier' è delegato alla sperimentale concretizzazione della futura società mondiale.
Se così è, quali potrebbero essere le "cose buone" da progettare e realizzare? Innanzitutto dobbiamo convincerci, e convincere, che non si tratta di un evento ineluttabile. E' infatti possibile accettare l'idea che qualche migliaio di 'dementi' possano dominare e sottomettere vari miliardi di individui senza che questi reagiscano? Quali mezzi utilizzano per opprimere l'umanità intera? Un tempo disponevano della sola 'forza armata', che era però impiegabile sul ristretto territorio nazionale. Ora, oltre quella, dispongono di efficientissimi mezzi tecnologici, particolarmente idonei all'atrofia cerebrale e al conseguente sopimento delle singole volontà e coscienze.
Allora cosa fare? Confidare nei tradizionali mezzi di opposizione sarebbe come restare in una trincea mentre gli eventi superano ogni barriera; si rende perciò indispensabile ricorrere agli stessi strumenti, non solo tecnologici, degli avversari, ma anche, e soprattutto, sotto il profilo dell'organizzazione basata sulla compattezza, sulla solidità, superando ogni singola presunzione, ideologia, concezione e differenzazione culturale che finora ha caratterizzato l'umanità. Tutto ciò nella consapevolezza che le divisioni, artatamente create, sono sempre servite per scatenare guerre, competizioni, sopraffazioni, intolleranze, fanatismi e lotte tra poveri a vantaggio dei noti, veri, autentici oppressori: coloro che hanno storicamente dominato il mondo per il mantenimento e consolidamento dei propri, atavici privilegi.
Come si può arrivare a questa difficilissima "unità d'intenti"? Solo attraverso l'unica via possibile e consentita: quella della cultura dell'AMORE universale, quello scevro da qualsiasi gratificazione, pulito e naturale; la sola arma che non può essere vinta e che allieta l'anima di chi lo offre e di chi lo riceve. E' utopia? Personalmente non ne sono convinto. Comunque sono altrettanto consapevole dell'enorme difficoltà a superare le convinzioni che un sistema, consolidato nei millenni, ha radicato in ognuno, ma sono similmente persuaso che la ricerca di una vita più serena, in un mondo che ponga al centro l'UOMO, sia anelito e speranza di ogni essere umano.
In fondo non esiste altra strada e, in ogni caso, l'utopia è come camminare verso l'orizzonte; non lo si raggiunge mai, ma almeno si cammina. Un caro saluto a tutti."

martedì 9 marzo 2010

"6 Marzo 2010 all'Aquila"

6 Marzo 2010, una data che rimarrà impressa nella memoria.
All'Aquila, con il popolo delle agende rosse, alla ricerca di Giustizia e Verità ho trovato tanta gente; gli aquilani, i viareggini e i cittadini di Giampileri in Sicilia, con le foto dei loro cari, hanno marciato con noi, agende rosse marchigiane, per urlare, con doveroso silenzio, la nostra indignazione alla fame di giustizia che pervade il nostro Paese.
Don Alex Zanotelli ama ripetere che noi stessi siamo il risultato dei nostri incontri e di quello che impariamo dalle nostre relazioni sociali. Dopo aver ascoltato la mamma di David, la mamma di Emanuela, la lettera dell'operaio della Tissen, i nomi delle vittime del terremoto e della strage di Viareggio, mi sono sentita diversa, più ricca di sentimenti, di amici e orgogliosa di aver dato un minimo di conforto a quei genitori che hanno subito un dolore immenso e che ancora non hanno potuto dare giustizia ai loro cari, per una indifferenza imperante, pesante, opprimente.
Al carnevale di Livorno non volevano leggere i nomi delle vittime viareggine:potevano disturbare l'allegria forzata di una patina massmediale, una sorta di pantomima televisiva dove lo spettacolo deve continuare e che non bisogna interrompere.
Occorre mettere al "centro" l'Uomo e la sua autenticità, non il profitto, serve la speranza intelligente contro l'ottimismo stupido, televisivo. La speranza che uomini come Salvatore Borsellino e donne come Sonia Alfano, ci trasmettono con le loro parole, ma soprattutto con la loro coerenza, la speranza che il mondo può essere diverso, solidale e più giusto.
I duri e puri che vogliono mantenere separate questa persone per una logica di appartenenza politica non devono avere spazio. Noi siamo plurali, non inquadrabili dentro una categoria particolare, ma ci unisce l'autonomia critica di cui Romolo ci ha parlato in autobus. Noi dobbiamo strumentalizzare i politici che sottoscrivono le nostre istanze e non permetteremo la strumentalizzazione di chi vuole solo cavalli da cavalcare.
Come si fa? Semplice, occorre riconoscere, ed è possibile, la veridicità delle persone e la loro coerenza, con l'esame della credibilità dei loro comportamenti, e soprattutto con la loro partecipazione. Chi agita l'agenda rossa, senza aver mai condiviso l'anelito di verità e giustizia e senza aver mai partecipato a nessuna iniziativa, ma solo perché la platea è numerosa, non può essere considerato credibile. Le parole delle persone, pronunciate in un'assise più o meno numerosa, trasudano o meno convinzione e coerenza; sta a noi valutarne la credibilità e/o la mancanza totale di convinzione. (Tiziana Streppa)

venerdì 5 marzo 2010

"UOMINI E BESTIE"

In quel caldo giugno del 44, le retrovie tedesche lasciavano frettolose le vecchie postazioni, per arretrare più a nord il fronte di resistenza all'avanzata delle truppe alleate. Il loro sbrigativo perquisire abitazioni, in cerca di vettovaglie o mezzi di fuga, era caratterizzato da ordini perentori e minacciosi. In casa rovistarono con impazienza, ma inutilmente, formulando incomprensibili espressioni che misero a dura prova il coraggio delle due donne il cui atteggiamento preservò, al bimbo che seguiva intimorito la scena, angosciose reazioni.
Quando le prime autocolonne delle truppe alleate in avanzata si stagliarono lungo l'arteria provinciale, fu un accorrere giubilante di adolescenti e giovani, stimolati anche dalle prime, voraci degustazioni di cioccolato, uva passita, chewing-gum e... gustose sigarette. Novità pressoché assolute, come l'aria che sembrava pervadere la collettività, dopo un ventennio avvolto nelle tenebre di una dittatura totalitaria come quella fascista.
Polacchi e inglesi caratterizzarono lo stanziamento temporaneo nel borgo; gli autoctoni fraternizzarono facilmente con i nuovi arrivati, anche per i vantaggi reciproci che ne derivavano. I dissapori furono circoscritti alla naturale conflittualità tra giovani locali e militari, in concorrenza per la 'conquista' delle graziose paesane. Per i fanciulli tutto era occasione di gioco; i mezzi corrazzati, i cannoni, le armi, i proiettili. Questi ultimi erano particolarmente 'preziosi' per le miccie interne, sibilanti e traccianti; un vero spasso, non sempre innocuo.
Ben presto nuove esigenze imposero il trasferimento dei "liberatori" in realtà più adeguate al susseguirsi delle esigenze militari, lasciando nei borghigiani nostalgia, delusioni, amarezza, specie per l'improvvisa restrizione delle poche, ma preziose risorse che l'opportunità aveva offerto. I più afflitti furono gli adolescenti che persero, in un sol colpo, rare delizie e opportunità di originali giochi.
In quell'inoltrato pomeriggio estivo, sotto un sole ancora fremente, il fanciullo stava recandosi verso il luogo, che gli era stato raccomandato, con la mente assorbita dalle tante novità appena vissute. La strada bianca, polverosa non era più percorsa dai vari mezzi che fino a qualche giorno prima si muovevano con frequenza e per destinazioni ignote.
Improvvisamente, dalla curva in fondo al breve rettilineo, si stagliò una figura titanica, con divisa militare e... volto 'nero'. Il piccolo uomo fu subito vittima di un terrore 'nuovo'. Aveva spesso sentito parlare di selvaggi dalla pelle nera, cannibali, corvini stupratori, da vari anni giustamente sottomessi e civilizzati dalla 'razza' italica nelle varie 'colonie' africane, antecedentemente sottoposte "all'abbruttimento di individui rozzi e primitivi".
Il gigante avanzava con passo poco marziale, ma deciso; il ragazzino, vittima di una crescente angoscia, fu più volte tentato dal naturale stimolo della fuga; ma dove scappare? Sarebbe stato rincorso, acciuffato, divorato? Mentre la fanciullesca fantasia elaborava visioni sempre più fosche, la distanza si accorciava inesorabilmente e il destino sembrava ormai segnato; non c'era che da affidarsi al residuale coraggio ed affrontare 'eroicamente' la sorte.
Forse l'omone aveva intuito i timori del marmocchio; chissà quante analoghe circostanze aveva vissuto nel lungo girovagare sul nostro 'patrio suolo'. Qualche passo prima dell'intersecazione, un soave sorriso e uno sguardo dolcissimo si coniugarono col saluto più delicato che l'enorme soldato potesse esprimere. Il piccolo viandante, completamente rassicurato, tirò prima un profondo respiro per attenuare il turbamento provato, poi iniziò a riflettere sull'origine del suo terrore, pervenendo presto ad una semplice conclusione; gli avevano raccontato un sacco di frottole. Fu così che nel tempo comprese come l'umanità, a prescindere dalla razza, dal luogo di nascita e dalla cultura, è divisa sostanzialmente in due grandi diversità in opposizione: gli Uomini e le Bestie.
I primi godono della saggezza che la natura offre, i secondi si lasciano contagiare dal folle fanatismo.
Non sarà per questo che il genere umano è vittima del conflitto perpetuo
?

lunedì 1 marzo 2010

"INGROIA: UN UOMO DELLA SPERANZA"

La sala è affollata quando, con un po' di ritardo, Antonio Ingroia vi giunge accompagnato da un lungo, caloroso applauso. E' un uomo inseguito da concrete minacce di morte a causa del suo doveroso lavoro. E' un magistrato impegnato presso la Procura di Palermo, la stessa in cui operavano i suoi colleghi e maestri Falcone e Borsellino, quindi una delle più esposte alle ritorsioni di una criminalità organizzata, provvista di mezzi, denaro e collusioni che la rendono ancor più proterva e impunita.
Venire a Tolentino è stata perciò un'impresa ardua, ma non ha voluto deludere le aspettative degli organizzatori che, con tanta ostinazione e abnegazione, si erano prodigati per una ottima e 'tranquilla' accoglienza.
L'occasione è la presentazione del suo ultimo libro "C'ERA UNA VOLTA L'INTERCETTAZIONE". La prefazione di Marco Travaglio si apre con la premessa che non è un trattato giuridico, ma uno strumento utile per comprendere le ragioni di chi, protagonista di tante drammatiche esperienze, può dimostrare come lo sviluppo tecnologico sia indispensabile per opporsi ad una criminalità che può giovarsi ognora di apparecchiature e innovazioni di raffinata ingegnosità tecnica.
Il suo pacato, ma chiaro intervento, offre agli astanti l'opportunità di comprendere quali siano i reali obiettivi che si propone il Governo con la ventilata promulgazione di una normativa, tendente ad annullare l'opera investigativa di Pubblici Ministeri che lavorano per il bene comune. Essi con gran fatica e, a volte, grazie anche ad una buona dose di fortuna, sono spesso riusciti ad evitare stragi e delitti orrendi, oltre a recuperare ricchezze e proprietà banditesche di enorme valore economico, messe a disposizione dello Stato e della collettività (vd. Associazione "LIBERA" di Don Luigi Ciotti).
Ha poi confutato le tante frasi fatte e le bugie che l'Esecutivo propaga dalle varie reti televisive di cui dispone per giustificare la 'necessità' di siffatta normativa. Una delle più sbandierate è stato l'elevato costo e l'ampio abuso delle intercettazioni; saremmo tutti 'controllati' da una magistratura estremamente curiosa e spendacciona.
In realtà il bilancio statale del 2007 per la Giustizia, pari a 7,7 miliardi, è stato 'eroso' dalle intercettazioni per un onere complessivo di 224 milioni, corrispondente al 2,9% (contro il 33% denunciato dai Ministro Alfano). In ogni caso, continua, non si capisce perché si vogliono tagliare le intercettazioni anziché le spese, come da anni la magistratura propone quali la
rivisitazione della disciplina che, attualmente, consente alle compagnie telefoniche, concessionarie dello Stato, di esigere sia dall'intercettante che dall'intercettato l'intera tariffa (due introiti per un'unica telefonata); in Germania i controlli sono invece gratuiti.
Inoltre occorre sostenere l'elevato costo derivante dal noleggio delle apparecchiature necessarie, che potrebbe essere annullato con la formazione di nuclei di polizia specializzati nell'uso di tali, sofisticati strumenti. Conclude con una domanda d'obbligo: "Si è proprio sicuri che un'indagine tradizionale costa meno di quella tecnologica a prezzi ridotti?.
Ma quanti sono gli intercettati? Il ministro Alfano afferma che nel 2007 sono stati ben 124.845 italiani, ma visto che ognuno fa o riceve una trentina di telefonate al giorno, il complessivo delle intercettazioni arriva a 3 milioni. In realtà, nello stesso anno, i decreti di intercettazione emessi sono stati 70.000, corrispondenti però a circa 20.000 persone realmente sottoposte a controllo telefonico; cioè, appena l'1% degli italiani. Il tutto considerando che nella nostra Nazione la criminalità è molto più agguerrita, estesa e organizzata rispetto agli altri Paesi.
In ultima analisi cita il testo di legge sulle intercettazioni approvato alla camera dei Deputati l'11 giugno 2009 che impone le intercettazioni ai soli procedimenti in cui siano già acquisiti evidenti indizi di... colpevolezza a carico dell'indagato. Una opportunità piuttosto contraddittoria visto che a quel punto il malfattore è già individuato.
Perché allora si vogliono mettere i magistrati nella condizione di assoluta inferiorità e impossibilità di contrastare efficacemente, ridando con ciò fiducia ai cittadini che anelano una società più giusta e vivibile, nei confronti di una delinquenza tanto propagata e ottimamente strutturata?
L'interrogativo resta sospeso, ma la risposta è scontata. Come diceva un filosofo greco 500 anni a.c., rifancedosi ai privilegiati del tempo: "La giustizia è come una ragnatela; le piccole vittime vi restano impigliate, le grandi la forano".