lunedì 22 febbraio 2010

"LA VILTA' NON E' (MAI STATA ) UNA VIRTU'"

Su questo 'blog' è da tempo ben visibile la didascalia che riporta un pensiero di Denis Diderot; le opinioni possono non piacere, non essere condivise ed, ovviamente, criticate. Il 'guaio' è quando piacciono a tutti. Perciò ben vengano commenti e osservazioni che stimolano considerazioni e riflessioni utili per l'elaborazione dei concetti trattati e la conoscenza di quanti ritengono positivo il confronto su temi di interesse generale, o opinioni ristrette alle vicende paesane.
E' noto infine che le polemiche sterili lasciano sempre il tempo che trovano.
Quindi tutto rientrerebbe nella semplice normalità e questo scritto, visto che oltretutto non ambisco ad alcun riconoscimento o gratificazione, potrebbe sembrare inopportuno.
Così in realtà non è dato che da tempo un "anonimo" compaesano si diletta a 'sfogare' il suo infantile istinto con affermazioni e giudizi categorici, che hanno già avuto ampio riscontro e adeguata considerazione, purtroppo senza l'esito sperato. Anche l'ironia, un'arma utile ad 'alleggerire' i toni, non è servita ad 'illuminare' l'amico lettore, che si è negato anche per un sereno confronto verbale in luogo pubblico.
Una persona cara spesso mi diceva: "Chi non ha coraggio, non se lo può dare". Perciò il pavido fautore delle ossessioni e dei volgari epiteti che sfoga su questo 'blog' è sempre libero di farlo. Ogni lettore avrà così l'opportunità di valutare il grado di maturità e 'temerarietà' dell'incognito provocatore.
Visto però che..."lo scherzo è bello quando è breve", reputo obbligata una scelta adeguata alla considerazione che può avere un soggetto caratterizzato da viltà e puerile maturazione: quella di non prendere più in alcuna considerazione coloro che evitano di assumere le proprie responsabilità, ricorrendo allo 'schermo' della codardia, per esprimere fanatiche convinzioni e grezze, offensive considerazioni.
Sia chiaro; riconosco di non essere mai stato un temerario, un ardimentoso votato all'eroismo o afflitto dal bisogno di vanagloria, però non ho mai offeso la mia umana dignità, il senso dell'amor proprio che ci dovrebbe distinguere dagli altri esseri viventi e porci comunque da naturale esempio nei confronti, almeno, delle persone amate.
Reputo pertanto la codardia un terribile affronto alla propria personalità; un limite che non consente di appagare il minimo bisogno di autentica libertà e costringe alla perpetua umiliazione chi ne soffre.
Ciò detto, debbo anche convenire che esistono situazioni in cui il celarsi dietro pseudonimi o restare nell'oblio sia una forma di comunicazione obbligata, ma utile alla formazione culturale collettiva; si pensi al noto compaesano "Scalabrino" o al più famoso 'Barone D'Holbach' i cui scritti avrebbero offerto all'Inquisizione motivo di condanna al rogo.
A questo punto ritengo doveroso estendere ad ogni amico lettore l'invito a NON riscontrare provocatori commenti anonimi o chiaramente mistificati; ognuno, se vuole essere rispettato e preso nella dovuta considerazione, deve risultare propositivo e, ancor meglio, identificabile.
I grossolani ignoti scrivano pure tranquillamente; per quanto mi riguarda, non godranno della mia considerazione.

PS: A proposito dell'argomento di cui sopra, mi è giunta oggi, per via telematica, la simpatica riflessione, intercalata da espressioni italico/dialettali frammiste a latino, che di seguito trascrivo:

ALEA ICTA EST
"So poco letteratu e moccò gnorante ma io dé st'amministraziò non cé capisco un gran che. Prima lu consigliu comunale tuttu baldansusu fa n'à delibera pe la sottoscriziò de laccordu de programma. Niente de strano lu scinnecu jà da un po' de jorni dicia che la discarica saria stata l'unica sarvezza de lu paese, rriava li sordi e po' non era manco na vera discarica era, come se dice, un postu do se mette le ecopalle, sci quelle che non puzza!
Nasce un comitatu, tutti se 'ncazza li giornali scrie che se fa a Mojà e tutto d'un trattu l'amministraziò no la vole più, simo fatto un attu duvutu, simo misto le condiziò, a nuatri la discarica ce fa schifo.
Evvavè ce simo bbituati, in Italia ogghi unu è de rifondaziò domà se po' candidà co Berlusconi, se dice che cambia è democraticu, che d'è pure da sverdi. Bah!
Ma quello che ce fa rmane tutti come li stoccafissi è che la bacheca de AN (ma non s'era sciorda?), come li vecchi tempi, cumincia sparà a zero contro l'amministraziò e lu scinnecu. ABBASSO LA DISCARICA!.
L'impressiò, perdoneteme, è che chi ha tirato lu sassu 'mmo nasconne la ma! e come dicia llu poru Cesare ALEA ICTA EST! Che significa? Significa che ammò la DISCARICA CE LA TINIMO.
Tutti li matti a Mojà

Nota: Colui che ha scritto questa simpatica riflessione ha scelto, non so per quale motivo, di celarsi dietro una vecchia definizione, tipica delle peculiarità psicologiche dei moglianesi. Si tratta della 'brutta copia' dell'attuale Scalabrino? Non lo posso sapere, ma ritengo le sue osservazioni rispettose, gradevoli, motivo di riflessione e pertanto utili ad ogni lettore.

sabato 20 febbraio 2010

"VIVERE, NON ESISTERE"

Alle 21 il 'Teatro' è già stipato; gente di ogni età attende l'arrivo dell'illustre personaggio: Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, assassinato a Palermo in via D'Amelio il 19 luglio 1992.
I minuti trascorrono inesorabili, ma nessuno mostra impazienza; nell'attesa volti conosciuti ripropongono vecchie amicizie e nuove se ne creano tra i tanti convenuti. Alle 22 l'ospite arriva; lo sguardo ne tradisce la stanchezza, che si attenua momentaneamente quando risponde con un sereno sorriso allo scrosciante applauso che lo accoglie.
Introduce Giorgio Bongiovanni, il siciliano che da tre decenni vive nelle Marche e noto anche per le 'stigmate' che da molti anni lo caratterizzano; ispiratore dell'Associazione Culturale Falcone e Borsellino (ACFB), in stretti rapporti con la famiglia del magistrato e quindi in grado di rivelarne aspetti della personalità non ufficialmente noti, come la passione per la teologia ed in particolare sulla figura del Cristo, oltre l'ufficialità religiosa.
L'ingegnere Salvatore Borsellino ha trascorso il pomeriggio all'Università di Ingegneria ad Ancona; il trovarsi tra tanti giovani, futuri colleghi, gli ha ricordato i trascorsi giovanili, quando seguì la vocazione tecnica e, perseguita la laurea, decise di trasferirsi a Milano per allontanarsi da una terra soggiogata dalla violenza e criminalità. Paolo ammise di non amare Palermo e proprio per questo decise di restare; voleva lottare per cambiarne l'immagine, renderla vivibile, umana. Poteva farlo solo da 'magistrato', nella consapevolezza dei grossi rischi che ne derivavano. Non ebbe alcun timore perché, com'è noto, era convinto che..."Chi ha paura muore tutti i giorni; chi non ne ha, muore una sola volta". Fu con questa persuasione che, insieme al fraterno amico Falcone, si prodigò in un lavoro non solo pericoloso, ma che imponeva grandi sacrifici a tutta la sua famiglia.
Consapevole che la 'mafia' non poteva essere ostacolata e sconfitta restringendo l'impegno alla manovalanza o ai vertici dell'organizzazione malavitosa, intraprèse il percorso più arduo, quello di 'salire' ai livelli che ne garantivano il 'potere' e l'impunità, una strada irta di ostacoli e rischi pressoché insormontabili. Riusci a superare molti intralci e difficoltà; l'assassinio di Falcone non solo non produsse titubanze o intimorimento, ma ne accentuò il senso di responsabilità incitandolo ad una frenetica lotta contro il tempo, nella consapevolezza del destino già segnato.
Chi ne ha voluto allora la morte? A questo interrogativo, Salvatore e la famiglia Borsellino, hanno dato da sempre una chiara risposta, a suo tempo derisa e sbeffeggiata dai tenutari del Potere politico. Ora sembra che stiano emergendo testimonianze e fatti che ne confermano invece l'attendibilità.
Quali nubi si stanno addensando sui magistrati coraggiosi e ostinati che stanno 'scoprendo' le figure istituzionali, emergenti dalle indagini in corso? Minacce di morte sono già state intercettate, sentenziate. Ancora una volta sembra che gli eventi si ripropongono nella loro aberrante conclusione. Ciò non deve accadere se non si vuole che la 'cappa' opprimente della mafio-massoneria già dominante, cali pesantemente e definitivamente sul capo dei cittadini italiani.
Occore perciò stare vicini, far sentire a questi 'eroi' del nostro tempo che non sono soli, che non sono abbandonati nella loro lotta per la 'giustizia e la verità'. Ecco il punto che impone al fratello di Paolo il continuo e duro lavoro informativo, l'ostinato contatto con ogni cittadino: la VERITA', l'informazione, la conoscenza dei fatti in opposizione alla menzogna, all'inganno quotidiano e perseverante dei mass media monopolizzati da gente senza scrupoli che dispone di mezzi e sudditi di ogni spregevole cinismo.
RESISTENZA! questa è la parola d'ordine che Salvatore ripete con rabbia e convinzione, sottolineando nel contempo l'inganno e la delusione verso tutti i 'partiti' che non hanno la forza o la volontà di porsi sulla strada dell'etica, della morale convinta, senza la quale non c'è possibilità di uscire dalla fetida melma che da decenni tiene avvinghiato il popolo italiano.
L'incontro si conclude con la dovuta precisazione circa il 'sentimento di fede' del fratello; Paolo, attraverso i suoi studi teologici, non aveva consolidato una fede 'bigotta', puramente cattolica, ma la convinzione che DIO è AMORE. L'avidità, la sete di 'potere', la competizione, l'indifferenza, l'odio, la viltà, l'intolleranza e quant'altro di ripugnante, non possono perciò gratificarci della gioia che l'Amore elargisce a quanti godono della fortuna di usufruirne.
Un "grande" uomo, una magnifica serata. Vivere, non esistere!

venerdì 12 febbraio 2010

VIA DELLE "BACHECHE OSCURE"

Non c'è niente da dire; Mogliano è realmente un grazioso paesino. Non concentrato attorno ai tipici colli marchigiani, ma allungato, nella forma di un enorme caimano, in cima ad una soave altura, equidistante dal mare Adriatico e dai rilievi appenninici che si stagliano all'orizzonte, completando un panorama stupendo di colori agresti, tipici delle sinuosità di questa terra prodiga e cortese.
Il centro cittadino è 'tagliato' dal corso principale, che divide l'agglomerato storico in due parti ricche di viuzze, che si snodano tra antiche abitazioni e stimabili 'tempi' religiosi ricchi di semplici raffigurazioni, ma anche da pregiate opere, tra cui una 'pala' del pittore Lorenzo Lotto.
Questo capolavoro, vanto assoluto del fasto artistico paesano, si può ammirare all'interno della Chiesa di Santa Maria, prospicente la Piazza principale e antistante il Teatro "APOLLO", struttura di ragguardevole ingegnosità e maestria.
Per raggiungere questi 'gioielli' è d'obbligo percorrere "via Roma" che offre anche l'opportunità di ammirare 'Palazzo Forti', l'attuale sede comunale, anch'esso degno di apprezzamento e interesse.
Il percorso è però preceduto da un tratto caratterizzato da una serie di "bacheche", circa una trentina (?), che 'stonano' rispetto all'originalità e al fascino del luogo. In verità altre inadeguate 'distrazioni' si sommano al rilevabile e deprecabile 'stato di degrado estetico' e 'vuoto culturale' costituito dalle tante "teche" che da decenni ivi abbandonate riposano.
Lo spettacolo che ne consegue non gratifica il passante che, da troppi anni, trae spunto alle proprie curiosità solo da quelle poche 'vetrinette' che aggiornano le note informative nel tentativo di creare opinioni e interessi specifici.
Si può certo obiettare sul tempo che hanno fatto questi antichi strumenti di comunicazione rispetto ai tanti mezzi che la tecnologia ha portato in ogni casa, ma non si può negare che esse costituiscono ancora un punto di riferimento per diatribe, contese cittadine e riflessioni varie.
Il problema perciò non è quello di disporre di tale mezzo espressivo, ma di utilizzarlo adeguatamente e costantemente, curandone nel contempo la periodica manutenzione e l'estetica, in rapporto alla tipicità del luogo.
Tutto ciò anche alla radicata facezia che definisce quel tratto di strada "via delle Bacheche Oscure"; un appellativo appropriato, ma che offende gli sguardi forestieri e può costituire causa di giudizio per coloro che, in cotanto vuoto, possono riflettere l'erudizione nostrana.
Sarebbe davvéro un bel guaio.

domenica 7 febbraio 2010

"MARCHE: TERRA DI CONQUISTA"

I moglianesi cominciano a dormire sonni tranquilli; la minaccia per la discarica rifiuti, che sembrava doversi presto realizzare nel nostro bel Comune, sembra allontanarsi. L'azione del locale "Comitato Ambiente e Salute" pare aver sortito l'effetto desiderato: procrastinare l'evento.
In effetti il primo sito dei cinque Comuni individuati (Camerino, Cingoli, Treia, San Severino e Mogliano) sembra ormai deciso; le 'ecoballe', attualmente trasferite, in costosa emergenza, a Fermo, saranno presto allocate a Cingoli, nella discarica di 'Fosso Mabiglia'. Per qualche lustro staremo pertanto tranquilli. Il rinvio del problema però non significa che gli amministratori, il CO.SMA.RI. e la Provincia di Macerata, devono cullarsi sugli 'allori'.
Le discariche costituiscono l'ultimo anello di una catena che inizia nelle abitazioni di ognuno; dipende pertanto da come la collettività saprà 'educarsi' alla raccolta differenziata (porta a porta), attraverso le iniziative che ogni Comune deve predisporre nel proprio ambito. La pericolosità di un moderno immondezzaio è infatti rapportata alla quantità di materiale indifferenziato da smaltire. Anche le maleodoranti esalazioni, determinate da rifiuti organici, sono pertanto riducibili, fino a modeste reazioni, in rapporto al loro volume. Ciò significa che una discarica destinata ai soli rifiuti abitativi, potrebbe non essere portatrice di particolari pericoli.
Oltretutto il tentativo di "azzerare" i rifiuti indifferenziati, dovrebbe produrre una progressiva riduzione degli scarti da incenerire, con il conseguente miglioramento dell'atmosfera, sempre meno intrisa dalle famigerate "polveri sottili".
La grave colpa degli amministratori locali che si sono susseguiti è quindi quella di non aver mai affrontato, con la dovuta serietà e responsabilità, un problema tanto rilevante e noto da quasi un decennio, ma che forse si sperava di delegare alle future generazioni.
Cosa succede però fuori dal problema paesano? Sembra che le Marche, terra finora esclusa da rilevanti pericoli ambientali, stia diventando la pattumiera energetica d'Italia. Una miriade di impianti industriali sparsi nelle provincie, che danneggeranno l'ambiente ed il turismo regionali.
Innanzitutto i due 'rigassificatori', un affare solo per chi li costruisce e li deve gestire, che saranno realizzati a circa 30 Km. dalle spiagge di Falconara e Porto Recanati. Non si tratta di una banale o esagerata preoccupazione, ma di rischio reale ed elevato visto che ogni nave rigassificatrice contiene ben 160.000 mc. di metano liquefatto, facilmente infiammabile (grisou) e con raggio distruttivo di almeno 50 km. . Anche l'ambiente marino, purtroppo, dovrà subire alterazioni che metteranno a serio repentaglio le caratteristiche 'flora' e 'fauna' del litorale interessato.
Oltre a ciò, altre due Centrali Elettriche Turbogas (Corinaldo e Falconara), riconversione degli stabilimenti SADAM di Fermo e Jesi in Centrali Termoelettriche, centrali a Biomasse a Schieppe (PU), Apiro, Montegranaro e in diverse località del fermano, vari inceneritori sparsi nella regione, elettrodotti Ancona-Spalato e Fano-Teramo, 70 campi di maxi pale eoliche e, non ancora da escludere, una centrale atomica a San Benedetto del Tronto.
In considerazione di tutto ciò, si sono costituiti un po' ovunque comitati di opposizione al paventato sfacelo; essi chiedono a tutti i responsabili politici di muoversi con la dovuta precauzione e trasparenza, a tutela, innanzitutto, della salute pubblica e di coloro che in futuro, non dovranno pagare per l'irresponsabile leggerezza di chi, oggi, è succube della protervia e degli interessi di lobby economiche e criminalità organizzata.
La politica degli "struzzi" alimenta solo illusioni ed ignoranza; il non voler vedere e capire significa consentire ogni nefandezza e arroganza di gente senza scrupoli.
Non è certo più il tempo... delle mele!