venerdì 22 ottobre 2010
"MORIRE IN PIEDI O VIVERE IN GINOCCHIO?"
In un passato non tanto remoto, la scuola era ritenuta parte essenziale dell'opera formativa dei ragazzi. Anche la Chiesa aveva un suo ruolo, preminentemente spirituale, ma anche sociale e culturale. I Governi godevano di adeguata autorevolezza e stima. La famiglia insomma non era abbandonata al suo naturale compito educativo e ogni minore veniva affidato, con spontaneità e fiducia, a tali istituzioni senza esagerata richiesta protettiva, per cui in ogni spiacevole circostanza, sapeva di poter contare soprattutto su se stesso; tutto ciò l'obbligava, naturalmente, all'assunzione delle proprie 'responsabilità'. Insomma se il maestro riteneva 'utile' il ricorso a mezzi di coercizione più convincenti, era consigliabile non lamentare i 'dolorosi' eventi in famiglia, ma mugugnare e riflettere in solitudine sulle presunte 'ingiustizie' subite. Certamente un sistema un po' eccessivo, ma certo non da "bamboccioni".
Con l'avvento del "boom" economico, anche la consuetudine formativa ne subì gli effetti e i rapporti tra le varie istituzioni cambiarono radicalmente. Sintomatica, a tal proposito, è una dichiarazione (rilasciata a "l'Arena", RAI 1, domenica 17/10, ore 14.00) del non più giovanissimo Vittorio Sgarbi, riconosciuto esperto d'arte che afferma: "Io sono certo che se dovessi uccidere qualcuno - cosa che spero non farò - mia madre sarebbe la mia prima complice". Sarà forse per questo 'scontato' senso di protezione che il personaggio esplode spesso in aggressive, offensive e infantili escandescenze.
Se si analizza banalmente tale comportamento, ci si rende conto che esso risalta una cultura oramai radicata nell'attuale società e che si manifesta in modo sempre più esteso, frequente e violento.
Se al giorno d'oggi un insegnante si azzarda a riprendere verbalmente un bambino, magari un po' viziatoo troppo birichino, rischia ritorsioni dai familiari non sempre dialettiche. Se un soggetto sferra un pugno mortale o viene arrestato per presunta appartenenza alla delinquenza organizzata, interi quartieri e comunità si mobilitano e sollevano in sua difesa. Si ha insomma la netta sensazione che siamo sempre più dominati dalla stupida, pericolosa follia di branchi scatenati, certi della sicura protezione sociale e, spesso, anche dell'impunità.
Forse c'è qualcosa che non va e che richiede una seria riflessione prima che il teppismo raggiunga livelli di assoluto dominio. E' possibile contrapporre a questa escalation una politica educativa e culturale basata più sulla civile convivenza, sulla solidarietà e sulla tolleranza? Qualcosa bisogna pur fare, ma non possiamo attenderci nulla da una "casta" politicante tanto corrotta e incompetente, non estranea al degrado in cui ci troviamo (com'è lontano il tempo del mediatico 'martellamento' sulla "sicurezza").
Comunque per prima cosa è indispensabile cercare di comprendere, alla radice, l'origine degli avvenimenti. Qualcosa si è già detto, ma l'affermazione di Paolo Borsellino, espressa qualche giorno prima di essere assassinato, è indispensabile per meglio afferrare il concetto: "I giovani e la mafia? E' un problema di cultura non in senso restrittivo e puramente nozionistico, ma come insieme di conoscenze che contribuiscono alla crescita della persona. Fra queste conoscenze vi sono quei sentimenti, quelle sensazioni che la cultura crea e che ci fanno diventare cittadini, apprendendo quelle nozioni che ci aiutano a identificarci nelle Istituzioni fondamentali della vita associativa e a riconoscersi in essa".
In poche parole assegna all'amorevolezza, a quella cultura che viene dal profondo dell'animo, la sola forza, l'autentico progresso (molto più indispensabile del tecnologico) non solo in grado di assicurare la sopravvivenza umana, ma anche un'esistenza serena, vivibile, pacifica.
Se così è, le Istituzioni a noi più vicine, Province, Comuni e Scuole, al di sopra di ogni appartenenza o difficoltà, devono promuovere incontri pubblici, coinvolgere i cittadini e informarli sulle reali situazioni imposte da crisi e congiunture non certo determinate da gente semplice e benpensante, ma dalla corruzione, avidità e delinquenza tipiche di chi, attraverso il Potere e la prevaricazione, pensa esclusivamente al proprio tornaconto. E' sempre il popolo a pagare la loro bramosia e, in questo modo, il loro volgare esempio resta per molti l'unica speranza in cui confidare per la soluzione dei propri problemi e frustrazioni.
Se così è, bisogna superare ogni stolta (e voluta) contrapposizione partitica, ogni forma di fanatismo, ogni maniacale glorificazione dell'AVERE (nei cimiteri il denaro non vale niente), ogni bisogno di sentirsi forti, 'padroni', conquistatori, nella consapevolezza che questo piccolo pianeta, chiamato "TERRA", è il solo che abbiamo e che dovremo, tutti, lasciarlo in eredità a coloro che verranno.
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