Alle 21 il 'Teatro' è già stipato; gente di ogni età attende l'arrivo dell'illustre personaggio: Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo, assassinato a Palermo in via D'Amelio il 19 luglio 1992.
I minuti trascorrono inesorabili, ma nessuno mostra impazienza; nell'attesa volti conosciuti ripropongono vecchie amicizie e nuove se ne creano tra i tanti convenuti. Alle 22 l'ospite arriva; lo sguardo ne tradisce la stanchezza, che si attenua momentaneamente quando risponde con un sereno sorriso allo scrosciante applauso che lo accoglie.
Introduce Giorgio Bongiovanni, il siciliano che da tre decenni vive nelle Marche e noto anche per le 'stigmate' che da molti anni lo caratterizzano; ispiratore dell'Associazione Culturale Falcone e Borsellino (ACFB), in stretti rapporti con la famiglia del magistrato e quindi in grado di rivelarne aspetti della personalità non ufficialmente noti, come la passione per la teologia ed in particolare sulla figura del Cristo, oltre l'ufficialità religiosa.
L'ingegnere Salvatore Borsellino ha trascorso il pomeriggio all'Università di Ingegneria ad Ancona; il trovarsi tra tanti giovani, futuri colleghi, gli ha ricordato i trascorsi giovanili, quando seguì la vocazione tecnica e, perseguita la laurea, decise di trasferirsi a Milano per allontanarsi da una terra soggiogata dalla violenza e criminalità. Paolo ammise di non amare Palermo e proprio per questo decise di restare; voleva lottare per cambiarne l'immagine, renderla vivibile, umana. Poteva farlo solo da 'magistrato', nella consapevolezza dei grossi rischi che ne derivavano. Non ebbe alcun timore perché, com'è noto, era convinto che..."Chi ha paura muore tutti i giorni; chi non ne ha, muore una sola volta". Fu con questa persuasione che, insieme al fraterno amico Falcone, si prodigò in un lavoro non solo pericoloso, ma che imponeva grandi sacrifici a tutta la sua famiglia.
Consapevole che la 'mafia' non poteva essere ostacolata e sconfitta restringendo l'impegno alla manovalanza o ai vertici dell'organizzazione malavitosa, intraprèse il percorso più arduo, quello di 'salire' ai livelli che ne garantivano il 'potere' e l'impunità, una strada irta di ostacoli e rischi pressoché insormontabili. Riusci a superare molti intralci e difficoltà; l'assassinio di Falcone non solo non produsse titubanze o intimorimento, ma ne accentuò il senso di responsabilità incitandolo ad una frenetica lotta contro il tempo, nella consapevolezza del destino già segnato.
Chi ne ha voluto allora la morte? A questo interrogativo, Salvatore e la famiglia Borsellino, hanno dato da sempre una chiara risposta, a suo tempo derisa e sbeffeggiata dai tenutari del Potere politico. Ora sembra che stiano emergendo testimonianze e fatti che ne confermano invece l'attendibilità.
Quali nubi si stanno addensando sui magistrati coraggiosi e ostinati che stanno 'scoprendo' le figure istituzionali, emergenti dalle indagini in corso? Minacce di morte sono già state intercettate, sentenziate. Ancora una volta sembra che gli eventi si ripropongono nella loro aberrante conclusione. Ciò non deve accadere se non si vuole che la 'cappa' opprimente della mafio-massoneria già dominante, cali pesantemente e definitivamente sul capo dei cittadini italiani.
Occore perciò stare vicini, far sentire a questi 'eroi' del nostro tempo che non sono soli, che non sono abbandonati nella loro lotta per la 'giustizia e la verità'. Ecco il punto che impone al fratello di Paolo il continuo e duro lavoro informativo, l'ostinato contatto con ogni cittadino: la VERITA', l'informazione, la conoscenza dei fatti in opposizione alla menzogna, all'inganno quotidiano e perseverante dei mass media monopolizzati da gente senza scrupoli che dispone di mezzi e sudditi di ogni spregevole cinismo.
RESISTENZA! questa è la parola d'ordine che Salvatore ripete con rabbia e convinzione, sottolineando nel contempo l'inganno e la delusione verso tutti i 'partiti' che non hanno la forza o la volontà di porsi sulla strada dell'etica, della morale convinta, senza la quale non c'è possibilità di uscire dalla fetida melma che da decenni tiene avvinghiato il popolo italiano.
L'incontro si conclude con la dovuta precisazione circa il 'sentimento di fede' del fratello; Paolo, attraverso i suoi studi teologici, non aveva consolidato una fede 'bigotta', puramente cattolica, ma la convinzione che DIO è AMORE. L'avidità, la sete di 'potere', la competizione, l'indifferenza, l'odio, la viltà, l'intolleranza e quant'altro di ripugnante, non possono perciò gratificarci della gioia che l'Amore elargisce a quanti godono della fortuna di usufruirne.
Un "grande" uomo, una magnifica serata. Vivere, non esistere!
sabato 20 febbraio 2010
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